La Corte di Cassazione sez. Lavoro, con sent. n. 11204 del 21.05.2014, ha chiarito la differenza tra incapacità a testimoniare e attendibilità del testimone. Secondo l’art. 296 c.p.c.una persona non può testimoniare nella causa in cui ha un interesse tale per cui dovrebbe essere parte processuale della stessa (e non testimone).
L’interesse al quale la legge si riferisce è, precisa la Cassazione, un interesse giuridico: cioè non può essere testimone chi, per far valere la propria posizione, avrebbe potuto intervenire nella stessa causa (agendo in giudizio o intervenendo successivamente in esso). Quando il soggetto ha, invece, un mero interesse “di fatto” a che la causa si concluda in un modo piuttosto che in un altro, la testimonianza è ammissibile. Dunque, un soggetto ha la capacità di testimoniare se, nella causa in cui viene chiamato a deporre, non ha interessi giuridici, cioè non ha nessuna pretesa connessa alla specifica controversia o tale pretesa è già stata fatta valere in un’altra causa. Secondo i giudici, è allora ammessa la capacità a testimoniare di un collega del ricorrente anche qualora egli sia già in lite con il datore di lavoro. Spetta poi al giudice valutare l’attendibilità delle dichiarazioni di tale testimone.
Sulla base di queste premesse i giudici della Suprema Corte hanno dunque affermato che, nel caso in cui vi siano più cause di vari dipendenti contro un unico datore di lavoro, ciascun dipendente può testimoniare a favore dell’altro, in quanto l’essere parte di un altro processo contro la stesso datore non fa venire meno la capacità a testimoniare.
L’interesse di fatto (e non giuridico) che il testimone ha nella causa riguardante il suo collega può semmai compromettere l’attendibilità della deposizione ma non l’ammissibilità della prova testimoniale.
Avv. Pietro Cotellessa