Con sentenza n. 23172 dell’11.10.2013 la Corte di Cassazione ha stabilito che la lentezza nell’attività lavorativa e l’insubordinazione legittimano il licenziamento del lavoratore. Tale comportamento, infatti, interromperebbe il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
La Suprema Corte ha così ritenuto legittima la cessazione del rapporto di lavoro, dovuta alle manchevolezze del lavoratore, alla scarsa efficienza e affidabilità, in quanto idonei a compromettere il rapporto fiduciario tra le parti.
Questo il principio generale, bisogna poi analizzare il caso di specie.
L’attività del dipendente, nello specifico, era caratterizzata dalla lentezza nell’assolvere i compiti assegnatigli, frequenti irreperibilità, rifiuto di usare il computer, incapacità di lavorare in gruppo, inosservanza della sanzioni disciplinari ricevute.
Si è da sempre discusso sulla legittimità del licenziamento per scarso rendimento, in quanto non sempre è facile stabilire se la insufficiente produttività del dipendente sia dovuta alla mancanza di impegno oppure a fattori contingenti, che vanno al di là delle singole capacità. In linea generale, ciascuna prestazione lavorativa deve essere eseguita con la professionalità e la diligenza richieste dal tipo di attività svolta.
Quale parametro di riferimento in merito alla prestazione che il datore di lavoro può legittimamente esigere ed al fine di dimostrare le manchevolezze del dipendente, bisogna rifarsi all’analisi delle prestazioni medie dei lavoratori adibiti alle medesime mansioni (Cass. Sent. n. 6747 del 3.05.2003). Attraverso questa valutazione, il datore di lavoro può riuscire a dimostrare, in via presuntiva, la negligenza del lavoratore, risultante dalla sproporzione tra gli obiettivi fissati nei programmi di produzione e quelli effettivamente raggiunti.
Avv. Pietro Cotellessa